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Testo della predicazione di fra Giorgio Pozzi alla festa di san Giuseppe 2022

Pubblichiamo il testo della predicazione che fra' Giorgio ci ha gentilmente lasciato.

San Giuseppe Padre dal coraggio creativo  

La gente, sentendo Gesù insegnare nella sinagoga rimane stupita e dice: “Non è costui il figlio del falegname?†Mt 13,55 Giuseppe è per tutti il padre di Gesù.

Giuseppe ha desiderato Gesù facendolo nascere, crescere e trasmettendogli la fede dei padri lo ha fatto crescere per circa trenta anni nella sua casa. Pur essendo quel figlio un grande mistero per lui.

Giuseppe, l’uomo del silenzio, vive i suoi turbamenti fidandosi della parola profonda e sicura che ha ascoltato dall’angelo: “non temereâ€.

Giuseppe prova la paura, ma Dio lo guida attraverso di essa.

 

“La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia.â€

Giuseppe ha saputo custodire quello che Dio gli ha affidato. Lo ha fatto vegliando e vigilando su Gesù. Lo ha fatto prendendosi cura con bontà e tenerezza. Con fortezza d’animo.

Giuseppe uomo giusto perché sottomesso alla legge. In lui l’amore e la fiducia per Maria gli suggeriscono il modo per salvare l’osservanza della legge e l’onore della sposa. La via della riservatezza.

E’ la voce di Dio che interviene nel discernimento di Giuseppe che contemporaneamente è giusto e bisognoso dell’aiuto di Dio.

Dio si inserisce come un imprevisto nella vicenda di Giuseppe chiedendogli di spalancare il cuore alla realtà che gli si pone davanti.

 

La vita è un viaggio, viviamo continuamente l’esperienza del cambiamento: età, luoghi, relazioni. È un processo di continua trasformazione, è un cammino che richiede il coraggio dell’essenziale.

In cammino non puoi portare tutto, devi scegliere, selezionare, condividere, supportare. Camminando incontri amici e sconosciuti, il sole e la luna, il bel tempo e le giornate impervie.

Spesso la vita non è come la immaginavamo. Molte volte la vita ci mette davanti a situazioni che non comprendiamo e sembrano senza soluzione.

 

Pregare, in questi momenti, significa lasciare che il Signore ci indichi la cosa giusta da fare. Vuol dire ascoltare la voce che può far nascere in noi lo stesso coraggio di Giuseppe, per affrontare le difficoltà senza soccombere.

I Vangeli non ci riportano nessuna parola di Giuseppe. Il silenzio di Giuseppe non è mutismo, è un silenzio pieno di ascolto, un silenzio operoso.

Giuseppe pregava, lavorava e amava. Per questo ha ricevuto sempre il necessario per affrontare le prove della vita.

 

Giuseppe è un uomo che sogna: Il sogno simboleggia la vita spirituale, quello spazio interiore che siamo chiamati a coltivare e custodire, dove Dio si manifesta e spesso ci parla.

Dentro ognuno di noi non c’è solo la voce di Dio: ci sono tante altre voci. Le nostre paure, le esperienze passate, le speranze.

Giuseppe dimostra di saper coltivare il silenzio necessario e prendere le giuste decisioni davanti alla Parola che il Signore gli rivolge interiormente.

Il silenzio un po’ ci spaventa, perché ci chiede di entrare dentro noi stessi e di incontrare la parte più vera di noi.

 

Giuseppe ha unito al silenzio l’azione, non ha parlato, ma ha fatto e ci ha mostrato quello che un giorno Gesù dirà ai suoi discepoli: “Non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieliâ€. (Mt 7,21)

L’azione di Giuseppe si fonda sull’ascolto.

Possiamo imparare da Giuseppe a coltivare nelle nostre giornate uno spazio di interiorità in cui dare la possibilità allo Spirito di rigenerarci, di consolidarci, di correggerci.

Giuseppe ha ascoltato tutto e tutti nella sua vita: uomini e angeli, pastori e Magi, lingue amiche e lingue sconosciute. Ha ascoltato con il cuore, con la mente e con l’anima.

Ci ha mostrato come nella vita ci sia bisogno di interiorità, di riflessione, di contemplazione. Solo il silenzio è degno di accompagnare grandi dolori, di nutrire grandi amori, di dare ali a grandi sogni.

Nelle relazioni chi per primo sa tacere con le parole e i comportamenti, consente il dialogo. Nelle nostre relazioni forse il più forte e il più grande non è chi vuole avere l’ultima parola ma chi per primo sa tacere.

Ci sono parole che guariscono e parole che feriscono e la capacità di fare silenzio ci insegna a distinguere le une dalle altre.

 

Saper fare i conti con il proprio vuoto interiore, accettare situazioni, persone e cose a cui non sai dare subito un senso, che ti sembrano anche assurde.

Il vuoto che conserva in sé la capacità di perdonare e di rigenerare una relazione.

Il vuoto che genera consapevolezza perché permette di ascoltare da libero, di osservare, di meditare e di farsi guidare.

 

L’obbedienza presuppone una relazione: più profonda è la relazione, più totale è l’obbedienza.

Se è una relazione di amore, vi sarà un’obbedienza di amore.

Dio ci ha chiamati alla libertà, e solo ciò che mi rende più libero viene da Dio.

La libertà non è un punto di partenza.

Il male più grande e più invasivo è l’egoismo, è l’idea che io sono tutto ed il centro di tutto. È necessario riconoscere il rischio di essere schiavi del nostro egoismo e chiedere al Signore di esserne liberati perché da soli non ce ne liberiamo.

 

Tutti abbiamo qualcosa da custodire. Ci sono momenti nella vita in cui siamo chiamati a essere custodi dell’altro, è una responsabilità.

Custodire è abitare in pienezza la vita, il tempo e le relazioni.

L’arte del custodire ci fa fare l’esperienza che nell’altro abita il volto del mistero.

Per saper custodire, dobbiamo avere cura di noi stessi. Chi custodisce si fida di sé stessopur conoscendo i suoi limiti e le difficoltà del compito e si affida al Mistero.

L’atteggiamento del custode è l’atteggiamento del sapiente, di colui che sa dare sapore e senso alle cose e alle persone, per questo le rispetta, le cura e le ama.

Custodire non è una esperienza di sacrificio ma di gioia.

 

Custodire significa imparare ogni giorno di più l’arte di prendersi cura. Prendersi cura è l’arte della vita.

Dobbiamo educarci e educare a prenderci cura con tenerezza.

La tenerezza è qualcosa di più grande della logica del mondo. E’ un modo inaspettato di fare giustizia.

C’è una grande tenerezza nell’esperienza dell’amore di Dio. Giuseppe è stato il primo a trasmettere questa realtà a Gesù.

Le cose di Dio ci giungono sempre attraverso la mediazione di esperienze umane.

 

Padre nella Tenerezza

“Dio non fa affidamento solo sui nostri talenti, ma anche sulla nostra debolezza redenta. Dio non ci toglie tutte le debolezze, ma ci aiuta a camminare con le debolezze, prendendoci per mano. Prende per mano le nostre debolezze e si pone vicino a noi.

L’esperienza della tenerezza consiste nel vedere la potenza di Dio passare proprio attraverso ciò che ci rende più fragili a patto di convertirci dallosguardodel maligno che ci fa guardarecon giudizio negativo la nostra fragilità, mentre lo Spirito Santo la porta alla luce con tenerezza.

La verità che viene da Dio non ci condanna, ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona. Dio perdona sempre. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono.

Ci fa bene allora specchiarci nella paternità di Giuseppeche è uno specchio della paternità di Dio, e domandarci se permettiamo al Signore di amarci con la sua tenerezza, trasformando ognuno di noi in uomini e donne capaci di amare così.

Senza questa “rivoluzione della tenerezza†rischiamo di rimanere imprigionati in una giustizia che non permette di rialzarsi facilmente e che confonde la redenzione con la punizione.â€

 

“La vera preghiera non è nella voce, ma nel cuore. Non sono le nostre parole, ma i nostri desideri a dar forza alle nostre suppliche. Se invochiamo con la bocca la vita eterna, senza desiderarla dal profondo del cuore, il nostro grido è un silenzio. Se senza parlare, noi la desideriamo dal profondo del cuore, il nostro silenzio è un grido†(S. Agostino)

 

 

 

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