Lettera d'Avvento e di Natale mons.Diego Coletti

LETTERA D’AVVENTO 2014

Care sorelle e cari fratelli,
vi raggiungo con questa lettera all’inizio del nuovo anno liturgico e pastorale, per svolgere con voi qualche considerazione sul tema delle relazioni di familiarità da vivere nella comunità cristiana e da offrire a tutti coloro che incontriamo nel nostro cammino.

Come sapete quest’attenzione particolare mi è stata segnalata dall’assemblea sinodale diocesana che si è svolta nello scorso mese di Aprile. Come a dire: mi è stato consegnato per voi il frutto di un discernimento comunitario largamente condiviso. Il mio compito è quello di accogliere e confermare autorevolmente quanto abbiamo maturato insieme, dare un certo ordine alle idee, esprimerle in modo chiaro e avvincente, e favorire la loro traduzione in scelte e in stili di vita cristiana, riprendendo quanto ho già accennato nel piccolo fascicolo intitolato “Una Chiesa in cammino” itinerario pastorale per l’anno 2015, che dovrebbe essere già a vostra disposizione.

Mi soffermo sul primo dei tre “sì” che ho voluto condividere con voi in questo documento: il “sì” a forme di comunione con stile familiare.
Comincio con una semplice domanda: chi si affaccia, magari dopo lunghi periodi di lontananza estranea o di assenza totale, a uno qualsiasi degli eventi e delle occasioni di vita della comunità cristiana, quali atteggiamenti vi trova? Cosa lo sorprende e, magari, lo “incanta”? Quale novità s’impone, allo sguardo del suo cuore, rispetto a quanto si può notare in un’agenzia della Compagnia di Assicurazione, o in un Circolo del Dopolavoro Aziendale?

Basterebbe rileggere con attenzione i numeri 27, 28 e 29 della lettera di papa Francesco sulla Gioia del Vangelo, per trovarvi una conferma autorevole e appassionata di questa verità della vita della Chiesa: strutture, iniziative, organizzazioni, riti e feste… tutto serve al Vangelo solo se è espressione nutrimento di un sempre rinnovato spirito di famiglia e di accoglienza, di fraternità e di attenzione alla qualità delle relazioni. Così dice il papa: “Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica… (EG 27 cfr anche il n. 63!). Si potrebbe rileggere in questo senso e per intero il numero 49 della lettera citata: “se qualcosa deve inquietare e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù, senza una comunità di fede che li accolga …”. Fraternità, amicizia, accoglienza, consolazione, sono le componenti della familiarità che si esprime nelle nostre comunità? Sono la nostra prima preoccupazione?

Quando ci dice che dobbiamo essere una Chiesa in uscita, il papa non intende scatenarci nel proselitismo più affannato, ma ci raccomanda di tenere le porte aperte: e richiama la figura del padre misericordioso del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perché quando il figlio ritornerà possa entrare senza difficoltà (cfr n. 46-49). Tutta la lettera del papa andrebbe letta e meditata “insieme”, almeno a livello delle cosiddette “comunità apostoliche”. Credo che vi troveremmo preziosi suggerimenti per far crescere nelle nostre parrocchie la testimonianza di una familiarità, di una ricchezza e disponibilità di sentimenti di fraternità e di amore reciproco che sono elemento indispensabile del “riconoscimento” dei discepoli di Gesù e condizione dell’incontro vero con Lui. La Parola del nostro Maestro è chiara e forte in proposito “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). 

Vorrei chiarire che non si tratta di svalutare, e tanto meno di ignorare, l’importanza dell’efficienza organizzativa o della capacità programmatica e imprenditoriale della Parrocchia, come di ogni altra aggregazione ecclesiale. Ma è assolutamente necessario che queste caratteristiche, presenti e utili in ogni incontro umano, nella comunità cristiana siano fondate sulla roccia della Parola evangelica e siano avvolte dal clima che tale Parola indica, come quello che appena citato qui sopra. Mi pare urgente riscoprire da parte dei cristiani la capacità e la disponibilità a un annuncio del Vangelo nelle relazioni quotidiane della vita. Bisogna entrare nella convinzione che la ricchezza e la cura delle relazioni sostiene e rende efficaci le iniziative e le proposte pastorali, non viceversa.

Mi domando:
è questa la nota caratteristica delle nostre comunità a tutti i livelli?
nonostante le comprensibili fatiche e difficoltà di ogni vita fraterna, siamo convinti che questa sia la cosa da curare più di ogni altra, da promuovere, difendere e nutrire, far crescere e mettere a disposizione di tutti, senza far prevalere sospetti, giudizi, gelosie, divisioni e ricatti?
Ci siamo mai chiesti a quali condizioni l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione passano da persona a persona, dentro a relazioni significative d’affetto e d’amicizia? O siamo inclini a pensare che una buona organizzazione d’incontri comunitari e di riti ben celebrati (che pure vanno vissuti con grande cura!) siano tutto ciò di cui dobbiamo prenderci cura, perché in se stessi più che sufficienti a nutrire la fede di chi c’è già e a invitare alla fede chi non c’è o si è allontanato?
La figura e il ruolo del prete (e dei laici che collaborano in parrocchia!) sono vissuti dall’interno e visti dall’esterno soprattutto sul modello del manager spirituale, del buon addetto dell’azienda ecclesiastica, o appaiono a loro stessi e agli altri soprattutto come il servizio paziente, disinteressato e libero del tessitore (e “ricucitore”!) di rapporti familiari segnati dalla novità e dalla gioia del Vangelo?
Quante energie spendiamo per altre, anche lodevoli, urgenze pastorali … e quanto ci teniamo impegnati e controllati anzitutto da questo punto di vista: la qualità delle relazioni interpersonali vissute, almeno con il desiderio e il proposito, all’altezza del Vangelo?

Come si esprime, e a quale livello, questa “altezza”?
Attenzione alle vertigini!
Perché siamo invitati a metterci nientemeno che all’altezza di Dio!
Così si esprime infatti il Signore, e lo ripete per ben due volte: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34; 15,12).
Questo è il “suo” comandamento, il comandamento “nuovo”. Si va infinitamente al di là della buona educazione, della sopportazione vicendevole, della logica del buon funzionamento aziendale … Si deve arrivare alla considerazione dell’altro come più importante di me stesso; alla libera decisione di dare la vita, se necessario, per le persone amate.

Allora comprendiamo perché san Paolo, quando elenca le opere “della carne” (cioè dell’uomo che rifiuta di aprirsi a Dio e si chiude in se stesso) su quattordici ne cita ben sette in riferimento alle relazioni tra le persone: inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie; e ancora: quando elenca i frutti dello Spirito Santo, su dieci ne cita sei del medesimo tipo: amore, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza … Senza dire che anche le rimanenti sette del primo elenco e quattro del secondo, in un modo o nell’altro, sono riconducibili al sostegno e alla promozione della qualità delle relazioni “familiari” tra i credenti. Proviamo a meditare con attenzione su questi preziosi versetti della lettera ai Galati (Gal 5,16-26).

Carissimi,
siamo all’inizio di un nuovo anno liturgico. L’atmosfera familiare dell’Avvento e del tempo di Natale dovrebbe aiutarci a rinnovare propositi di attenzione alle prossimità che, come c’insegna il Vangelo, non sono determinate dai confini che noi tracciamo, ma dalle necessità di chi incontriamo, magari emarginato e violentemente buttato fuori strada, lungo il cammino da Gerusalemme a Gerico.

Siamo pronti a lasciarci commuovere dal Bimbo posto in una mangiatoia, che condivide il conforto dello sguardo materno con la pungente povertà della biada di un asino e di un bue?
Forse dobbiamo ripartire da lì: dalla commozione di una prossimità che Dio ha scelto per noi; di una familiarità che Egli ha liberamente voluto per rivelarsi a noi Padre e Fratello, donandoci lo Spirito Santo della Loro comunione divina.
Un dono, una grazia. Ma anche una responsabilità di cui dovremo dare conto. Perché a chi è stato dato molto, molto sarà chiesto!
Un Dio così “familiare” come il Padre di Gesù, il Figlio Benedetto e il loro Santo Spirito, desidera conformare a questa familiarità tutta la nostra vita, la nostra testimonianza al Vangelo e il nostro impegno di costruire un mondo che sia per tutti casa accogliente e scuola di amore fraterno.

Solo questo può essere il senso vero e pieno del nostro augurarci Buon Avvento e Buon Natale!

+ Diego, vescovo

Como, 30 Novembre 2014

Prima Domenica di Avvento

 

 

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